L’uomo che guardava oltre il cielo Personale ricordo di Silvio Berlusconi, ad un anno dalla sua scomparsa

14/06/2024

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Chi è nato negli anni 70 o all’inizio degli anni 80, ha avuto il grandissimo privilegio di vivere appieno tutte le epoche del Milan di Silvio Berlusconi, assaporando e godendo in pieno i tre grandi cicli di Arrigo Sacchi, di Fabio Capello e di Carlo Ancelotti.
Ventinove trofei in trentun anni, di cui tredici internazionali, sono un patrimonio che riempie l’anima e il cuore di tanti tifosi milanisti. Eppure ciò che va davvero rimarcato di Silvio Berlusconi non sono i suoi trionfi, pur grandissimi e forse non replicabili (basti pensare alle 8 finali di Champions League in 18 anni).
Ciò che emerge in maniera nitida del Berlusconi presidente rossonero è la sua capacità di avere sempre un orizzonte nuovo, un obiettivo in più da inseguire, un aspetto in cui migliorare.
Berlusconi era un perfezionista che si vantava di esserlo. Sapeva fissare davanti a lui traguardi importanti anche un istante dopo aver sollevato al cielo il trofeo più ambito.
Volendo riassumere in una parola questa sua peculiare caratteristica, si può dire che ciò che rendeva Berlusconi speciale rispetto a tutto il resto del mondo del calcio era la sua innata capacità di avere una visione, di rimanervi fedele, di coccolarla e vezzeggiarla anche quando la stessa poteva apparire un’utopia.
Già, l’utopia: parola quasi sconosciuta nel vocabolario del Cavaliere, tanto che pochissime volte l’ha pronunciata in pubblico.
E non è un caso.
L’uomo che credeva nella possibilità di rendere tutto possibile non poteva pensare che esistesse qualcosa di utopistico.
La grande forza del Milan per oltre 25 anni è stata propria questa visione di Berlusconi che, a volte, immaginava persino di andare oltre il cielo.
Quando gli chiedevano quale fosse il Milan che più lo aveva soddisfatto, egli rispondeva sempre: “il Milan degli olandesi”.


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Per lui quel Milan era ciò che più sia avvicinava al suo concetto di perfezione calcistica, un concetto che ha inseguito convintamente senza mai raggiungerlo davvero perché per Berlusconi c’era sempre qualcosa da migliorare, soprattutto nel possesso palla nei finali di partita (il suo antico cavallo di battaglia).
Il suo essere visionario lo portava a non assaporare del tutto una vittoria sofferta, perché il suo senso estetico era estremamente esigente.

Quasi nessuno lo capiva, quando pretendeva sempre in campo le due punte, quando rimproverava l’allenatore per non aver schierato Serginho terzino, oppure quando si arrabbiava se la squadra si abbassava troppo a difendere il risultato. Tante volte, in molti, etichettavano come “sparate” le sue convinzioni.
Eppure se si fosse accontentato di vincere e basta, il Milan che tutti noi abbiamo amato, vissuto, adorato e che ci ha resi fieri di essere milanisti, non sarebbe mai esistito.
Perché tante squadre hanno vinto nella storia del calcio e oggi si trovano legittimamente sull’almanacco. Il Milan di Berlusconi, invece, ha fatto qualcosa in più: è rimasto nel cuore della gente.
Tutto questo, senza il suo presidente visionario, non sarebbe mai stato possibile. Ad un anno dalla sua scomparsa, è impossibile non ricordarlo.

Capitan Uncino

 


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